venerdì 17 aprile 2009

Lago al Sirenette di Savigliano (CN) – sabato 04 aprile 2009


Stufo per l’inattività ho fatto La pazzia con la L maiuscola, infatti, sono andato a pescare al lago la Sirenetta di Savigliano. Complice una giornata meravigliosa, mi sono detto: “non sarà il massimo, ma mi aiuterà ha togliere della ruggine dai miei movimenti (quelli della pesca a mosca – ndr).
Risultato, non è stato il massimo, come previsto, infatti anche se il lago è sempre bellissimo, curato, ci sono addirittura le tartarughe, è frequentato, purtroppo, dai
classici torinesi con famigliole al seguito che come arrivano senti urlare “Angelo!! Ci sei anche tu Angelo!!” il tutto in tipico accento calabrotorinese. Comunque, io sono un testardo, è decido di pescare ugualmente (6,00 € per il NO KILL e si può comunque trattenere un capo, se lo prendi, si intende, ed io non l’ho preso), così mi metto alla ricerca di un posto tranquillo che non mi faccia sentire di essere a pesca con “Franco ooo Franco” di Zelig e monto le mie due canne: una per la pesca con lo streamer (coda affondante) e l’altra per la pesca a secca o sommersa di superficie. Sono le 12,30 e vedo, nella zona dei merenderi, che c’ è un collega, pescatore a mosca , evidentemente molto più bravo di me, che stava facendo catture su catture pescando con lo streamer e facendo il lancio roller. Tutto ciò mi fa ben sperare, infatti, se le trote ci sono lì dove c’è un casino bestiale calabrotorinesi (le trote iridee sono di origine americana e quindi non dovrebbero avere particolare affinità con sta gente, ma si vede che la globalizzazione ha colpito anche loro), qui dove sono io nella tranquillità più assoluta sicuramente non dovrei aver problemi anche se non riesco a fare il lancio roller e quindi il mio campo di pesca è fortemente limitato. Terminato il montaggio delle canne faccio quindi una decina di lanci con lo streamer, ma subito mi accorgo di una cosa “che palle è noiosissimo”, invece noto che nel sottosponda ci sono moltissimi cavedani che nuotano allegramente in superficie ed ogni tanto bollano su piccole mosche scure. La mia risposta non si fa attendere, metto da parete la canna con coda affondante e prendo quella preparata per pescare a secca, cerco nella scatoletta delle moschine più piccole che ho è provo a tentarli con una Valtellina in cdc grigio scura. Dopo qualche lancio e parecchi rifiuti, cambio e prendo una moschetta con corpo chiaro, ali ed hacles scuri montata su un amo del 20 e dopo due lanci strike ecco un bel cavedanello. Ho continuato con la stessa mosca ancora per poco, ma non ci sono stati altri attacchi, così ho deciso di spostarmi, anche sotto la spinta dei merenderi che stavano avanzando come una marea di unni grassi ed incazzati. Ora mi trovo nell’angolo più remoto del laghetto che prima era occupato da un gruppetto di slavi a torsonudo che bevevano birra e qualche trota l’hanno anche presa (a fondo). Anche qui stessa procedura: qualche lancio con lo streamer, ma che non ha dato risultati, tranne un inseguimento di una iridea sino sotto i miei piedi, ma poi più nulla, così torno a cercare di fregare i cavedani, ma si alza una certa arietta proprio contro di me che non facilita né il lancio né la visibilità della mosca sull’acqua in mezzo al fogliame ed allo sporco che il vento trasporta. Dopo tanto trigare ecco ancora un cavedano attaccare la mia mosca ed essere salpato e liberato senza perdere tempo. Sono quasi le 15.00 ed arriva un gruppo di non saprei dire cosa, formato da 20 persone sulla quarantina di anni che si tolgono le magliette ed iniziano a correre dietro un allenatore in mezzo agli alberi e poi, una volta fermi, incominciano degli esercizi simili ad un addestramento per il combattimento con tanto di “Uhh” urlato ad ogni colpo, virtualmente, assestato. Sono senza parole, mancano solo più i claun che si allenano è gli scemi ci sono tutti, così decido che è arrivato il tempo di andarmene e tornare da mia moglie ed il mio cane che sono a casa ad aspettarmi (il marito crede sempre questo!). Prima di riconsegnare il mio tagliando alla padrona del lago, simpaticissima come sempre, mi è ancora toccato sentire una ragazza torinese dire al fidanzato che stava salpando una trota “poverina non ucciderla, mi fa pena” ed allora dico io, tra me e me, “ma che cazzo ci siete venuti a fare in un laghetto di pesca sportiva??” bah? Dilemmi della vita.

Morale: anche se la voglia di pescare ti sembra troppo grande per poterla sopprimere non andare MAI in un laghetto a pagamento al sabato pomeriggio, meglio attendere che le acque dei nostri meravigliosi e SOLITARI torrenti della provincia ritornino chete e pescabili.

La costruzione delle mosche

Nel corso dell’inverno 2008-2009, sarà per la grande quantità di neve caduta, che quindi obbligava a rimanere rintanati in casa, salvo le uscite con il mio fido amico Rochi, è nata in me la voglia di costruire in autonomia le mosche artificiali necessarie per le mie future battute ed avventure di pesca.
Inoltre la quantità di neve caduta fa presagire che le prime uscite di pesca potranno essere effettuate solamente dalla fine di marzo in avanti e quindi tanto vale darsi da fare per impegnare il tempo con qualche attività sempre affine al mondo della pesca.
Credo che tutti i pescatori a mosca maturando la loro passione per questa meravigliosa disciplina dovrebbero imparare l’arte della costruzione, in modo da conoscere al meglio gli insetti che popolano i nostri fiumi e rendersi autonomi nella costruzione di quei particolari insetti visti in quella particolare vallata, in quel particolare ruscello, in quel particolare periodo dell’anno. È infatti così varia, la situazione entomologica, che il pescatore a mosca dilettante o professionista si trova a fronteggiare.
Tuttavia non è facile costruire le mosche artificiali e quindi consiglio, oltre di dotarsi di un buon testo, anche di cercare e poi seguire i consigli di un Maestro. Il mio Maestro, anzi Gran Maestro non poteva che essere Stefano Carniccio, che per me, che lo conosco da 20 anni, rimane sempre Ciccio. L’aiuto è importante per imparare l’arte della costruzione in modo più veloce e meno frustrante.
Gli inizi sono davvero difficili, le mosche prendono forma, ma la forma dello schifo (se io fossi una trota e soprattutto una trota selvatica mi sentirei oltraggiata dal pescatore che, impudentemente cercasse di tentarmi con un tale ciuffo mal fatto di peli di animale morto).
Comunque non bisogna perdere la speranza, ed io, per adesso, tengo duro.

La mia passione per la pesca




La mia passione per la pesca non ha limiti, infatti, mi sono dilettato con tutte le tecniche di pesca e con tutti gli ambienti di pesca, dal torrente, al mare, passando per il fiume del piano.
Non sono mai stato quindi un grande pescatore, non specialistico e quindi molto imperfetto ed anche un po’ improvvisato, ma sempre innamorato di questa disciplina.

Ringraziamenti

- Ringraziamenti-
A mia moglie Elena che aprendo il mio cuore all’amore profondo e romantico mi ha permesso di percepire tutto un mondo che avevo sempre dato per scontato, ora, grazie a lei, i miei occhi vedono la poesia che è dietro ad ogni attimo, ogni situazione ed ogni immagine.

A mio Zio Mario, mancato da poco tempo, che, con i suoi racconti di caccia e di escursioni in montagna, ha acceso dentro di me l’amore per la natura e che sono sicuro, mi accompagnerà in tutte le mie avventure, senza dimenticarsi si rimanere vicino alla sua adorata moglie Rinuccia.

A mio Zio Aurelio, grande pescatore, mancato prematuramente, ma sempre al mio fianco in ogni battuta di pesca.

Al mio amico e Gran Maestro Stefano Carniccio, detto Ciccio, che ancora oggi ricordo avermi insegnato a pescare al lago San Biagio nel lontano 1989, avermi insegnato la tecnica di lancio con la mosca artificiale, avermi fornito mosche meravigliose ed avermi iniziato all’arte della costruzione delle mosche stesse.

Al sig. Sergio Carniccio, padre di Ciccio, mancato prematuramente all’affetto dei suoi cari e dei suoi amici, categoria alla quale io spero di aver appartenuto, che pazientemente ci ha scarrozzati più volte in montagna per permetterci di pescare in questi luoghi quando ancora non avevamo l’età per guidare e neanche la cognizione per affrontare i pericoli del torrente e della montagna.

Ai miei genitori, mamma Mariella, papà Alberto che sono stati l’inizio del mio ciclo di Vita e quindi, senza i quali, io non Sarei!

Premessa

- Premessa -
Come ho iniziato a scrivere queste mie memorie non saprei dire e non saprei dire neanche il perché… Forse è nata dentro di me la necessità di concretizzare le mie avventure di pesca per renderle accessibili a mia moglie che di rado mi accompagna sul fiume o magari ai miei figli che al momento sono solo nei nostri sogni.
Comunque non ha grande importanza il come, il perché e neanche il però, l’unica cosa che conta veramente e che qualcuno, forse, leggerà queste pagine e capirà cosa significa la pesca per me.
E sì, la cosa importante è capire che la pesca non è solo un passatempo come un altro, ma è un viaggio nel ventre di madre natura che ti accoglie con il suo spettacolo quotidiano, fin troppe volte ignorato e maltrattato, ma che se abbiamo la pazienza di sederci ad osservarlo senza fretta rivela tutta la sua magnificenza e mutabilità, in altre parole ci mostra la Vita.
Qualcuno dirà: la vita? E io rispondo sì la Vita. Ma non mi riferisco a quella che tutti i giorni ci costringe a recarci al lavoro, a fare la spesa o anche in vacanza, mi riferisco, invece, all’essenza della vita che è cosa immensamente più grande di ogni nostro atto, di ogni nostro pensiero, preoccupazione o problema. Infatti la vita che intendo io non è assolutamente influenzata né turbata dalle nostre vicissitudini, Lei prosegue comunque senza sosta con quotidiana magnificenza mostrando ora i fiori primaverili, ora l’arcobaleno di foglie autunnali, ora il candore della neve ora la carezza che il bosco fa alle nuvole quando l’aria muove le sue fronde.
Fu proprio così che una sera di inizio giugno sulla riva del torrente Gesso, avvolto dalla nebbiolina causata dall’umidità del temporale appena passato contrastata dal timido sole del tramonto, la natura ha voluto donarmi l’essenza della Vita nel modo più semplice e magnifico possibile, mostrandomi gli insetti che si trasformano da animaletti acquatici a piccoli miracoli alati che si sollevano in cielo dall’acqua per incontrarsi in un breve, ma intenso abbraccio d’amore che si conclude con morte dei maschi che ricadono dolcemente nell’acqua per diventare cibo per le trote che schioccano sulla superficie del torrente per non farsele rubare dalla corrente, mentre le femmine depongono le uova fecondate frutto di quel bellissimo attimo prima di seguire i loro compagni nell’infinito ciclo della Vita.
Ecco forse, nonostante il mio stile sgrammaticato, ho iniziato a dare l’assaggio di cosa significa per me la pesca.
Gabriele Delpozzo